CAPIRE L'AVARIZIA PER POTERLA TRASCENDERE
Enrique Martínez LozanoLc 12, 13-21
Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità". Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?" E disse loro: Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni". Disse poi una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò cosí: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di piú grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Cosí è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".
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In un interessante libro sull'enneagramma, descrivendo l'enneatipo Cinque, si può leggere: "Avarizia significa cupidigia, un forte desiderio di acquistare. L'impulso di un Cinque è, quindi, quello di collezionare, accumulare e risparmiare risorse, basandosi su una sensazione interna di vuoto deficiente..." E, citando Claudio Naranjo, prosegue: "Si tratta di un'avarizia timorosa che implica la fantasia che lasciarsi sfuggire qualcosa causerebbe un catastrofico rimanere senza niente. Si può dire che dietro questo impulso di accumulazione si nasconde un'esperienza di impoverimento." Questo è lo stato di ritenzione anale, l'anima che ritiene le cose invece di lasciarle passare. La logica interna è che se immagazzina, come uno scoiattolo, il sufficiente, non si sentirà mai più vuoto, ma, come ogni tentativo di riempire i buchi delle nostre anime che risultano dalla disconnessione con l'Essere, nessuna riserva sarà mai sufficiente per alleviargli l'esperienza interna di scarsezza." (Sandra MAITRI, La dimensión espiritual del eneagrama. Los nueve rostros del alma, La Liebre de Marzo, Barcelona 2004, p.215).
A mio parere, queste parole di Sandra Maitri ci possono aiutare a capire in profondità la saggezza di quelle altre di Gesú, poiché segnalano espressamente due chiavi imprescindibili: da dove viene l'avarizia e come si risolve.
Da dove viene l'avarizia
All'origine dell'avarizia sembra esserci un vuoto affettivo, un'esperienza prematura di insicurezza e, infine, una disconnessione dalla nostra vera identità.
Il vuoto affettivo "esige" di essere riempito in modo compulsivo: è la fonte dell'ansietà, che si traduce in svariate dipendenze -una delle quali può essere il denaro od i beni materiali-. In questo senso, la cupidigia o avarizia è il tentativo -sterile- di colmarlo.
Un'esperienza prematura di insicurezza (economica), senza che necessariamente sia stata oggettivamente reale, ha potuto scatenare nel bambino un'angoscia dalla quale cercherà di proteggersi a forza di avere e di accumulare.
Piú in profondità, l'avarizia, in quanto necessità illimitata di accumulare, si spiega -come tutti i comportamenti egoici- a partire dalla disconnessione dalla nostra vera identità. Ciò che siamo -nella nostra identità profonda, condivisa e non-duale- è Pienezza. Ma, avendolo dimenticato, ignorandolo, cominciamo a viverci come esseri separati e carenti, in lotta permanente ed estenuante per attenuare quella carenza che crediamo di essere. Mendichiamo briciole -"accumuliamo tesori per noi stessi"-, senza riconoscere che siamo già "ricchi davanti a Dio". (Come non ricordare qui il libro di GANGAGI El diamante en tu bolsillo, Gaia, Madrid 2006?).
Per liberarsene e trascendere l'avarizia
Sarà necessario un lavoro psicologico per elaborare il dolore nascosto dietro quelle esperienze di vuoto e di insicurezza, cosí come per modificare i messaggi che sono rimasti impressi a partire da queste.
Ma bisognerà anche impegnarsi in un lavoro spirituale su sé stessi, che permetta di uscire dal sogno egoico e dall'ignoranza circa la nostra vera identità, fino a riconoscerci, di fondo, nella Pienezza che siamo.
Sia in un caso che nell'altro, forse avremo bisogno dell'aiuto di una persona competente. Ma appare indubbio che, finché non si soddisfino queste condizioni -guarire il vuoto e l'insicurezza, e riconoscere la nostra identità profonda-, non sarà possibile vivere la parola di Gesú, vale a dire, non potremo sperimentarci "ricchi davanti a Dio".
Poiché "arricchire davanti a Dio" non significa aver "accumulato" meriti -ecco di nuovo la parola che piace tanto all'ego-, ma lasciar cadere la nostra falsa identità, prendere le distanze dall'ego e, fatta tacere la mente, divenire consapevoli della Pienezza che siamo.
Quando questo non si percepisce, il volontarismo per adempiere la parola di Gesú conduce non a quello che egli viveva e annunziava, ma apppunto a un ego piú gonfio e separato, per quanto adesso si autodenomini "religioso". L'esperienza ci dice che una maggiore "religiosità" non si corrisponde con una maggiore verità di ciò che siamo.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini