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OFFRIRE E RIPRENDERE LA VITA

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Jn 10, 11-18

In un certo senso, il verbo "offrire", che occupa un posto rilevante nel quarto evangelo, potrebbe definire Gesú: è lui che offre sé stesso (o "colui che viene offerto"): "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (3,16).

Un offrire sé stesso che ricorda l'immagine del chicco di grano, adoperata dallo stesso evangelista: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (12,24).

Questa immagine fa sí che ci rendiamo conto di una legge che sembra regolare ogni cosa, ma che frequentemente scordiamo. Tutto ciò che conosciamo è un mistero di morte-risurrezione. Risuscita soltanto quello che muore; si riprende solo quello che si offre. E tutti siamo immersi in questa stessa dinamica.

Vorrei esprimerlo con le parole di Claudio Naranjo:

"Una cosa è chiara: che il processo di evoluzione della coscienza individuale è una specie di metamorfosi psico-spirituale -una trasformazione- che comporta un processo di morte e rinascita..."

"Sperimentiamo lungo la vita diverse e piccole morti psicologiche attraverso le quali abbandoniamo certe motivazioni e cominciamo a liberarci da aspetti della personalità formatasi durante l'infanzia, da quello che è posticcio, che è qualcosa che appartiene alla patologia sociale che ci circonda e che abbiamo interiorizzato, o qualcosa che abbiamo dovuto adottare a modo di difesa."

"Man mano che ci liberiamo da quello che è obsoleto e limitante, comincia a emergere la nostra potenzialità interiore, quella coscienza maggiore che chiamiamo spirito e che è come il fiore della nostra vita. Nel linguaggio della Psicologia Transpersonale, cominciamo ad abbandonare l'ego e cosí a poco a poco liberiamo il nostro essere essenziale dalla prigione della nostra "nevrotica" compulsività condizionata."

Il mistero di morte-risurrezione, negli esseri umani, altro non è che la possibilità del passaggio dall'ego alla nostra vera identità. Questo passaggio è di un'importanza tale che, fin dove sappiamo, può solo verificarsi attraverso la "notte oscura" nella quale offriamo noi stessi interamente per essere interamente "ritrovati" ad un altro livello della nostra identità.

L'ego è quel chicco di grano che, nel morire, fa sí che spunti la spiga che siamo veramente.

Gesú visse questo passaggio (che, probabilmente, si volle rispecchiare nel racconto delle tentazioni), e questo rese possibile che tutta la sua vita fosse un'offerta di sé stesso.

La capacità di offrire sé stessi è uno dei primi segni di maturità personale. La persona matura è quella che è capace di amare e di offrire sé stessa in modo gratuito. Non lo fa per un volontarismo morale, neanche cercando una ricompensa religiosa.

Questa offerta nasce dalla comprensione di chi siamo. È vero che l'esperienza della propria vulnerabilità può aprirci a soccorrere la vulnerabilità degli altri. Ma solo quando comprendiamo che la nostra identità è Amore universale e gratuito -l'identità transpersonale cui si riferiva Claudio Naranjo- l'offerta di noi stessi nasce spontaneamente.

L'offerta di sé di Gesú -che si farà visibile sulla croce, ma che lo aveva accompagnato tutta la sua vita- venne plasmata nell'allegoria cosiddetta "del buon pastore".

Si tratta di un'immagine che ai nostri contemporanei appare, nello stesso tempo, anacronistica e pericolosa. Anacronistica, perché le scene del pastore che ha cura del gregge sono scomparse dall'universo per lo piú urbano e sviluppato. Pericolosa, perché l'immagine del gregge si associa ad un comportamento da pecore, e questo viene rifiutato in modo viscerale dalla società moderna, in quanto evoca il binomio potere/sottomissione.

L'uomo e la donna contemporanei non cercano "pastori", anche se poi se ne vanno dietro a qualsiasi richiamo, ma compagni di cammino che abbiano sperimentato ciò che dicono e che, di conseguenza, possano essere delle guide efficaci.

Non era cosí nella Palestina del I secolo. Come fu plasmata nel Salmo 23 -"il Signore è il mio pastore: non manco di nulla"-, l'immagine del "pastore" fu applicata a Yhwh, e alludeva alla cura amorosa, che permette di vivere in una fiducia incrollabile.

Per questo oggi, nonostante l'immagine sia diventata obsoleta, abbia delle reminiscenze autoritarie e sia irrecuperabile -non so se possa ancora essere positivo continuare ad usare l'immagine del "pastore" nella comunità cristiana-, il suo contenuto resta completamente attuale, in quanto proclama l'attitudine a darsi agli altri fino alla fine.

Si tratta, inoltre, di un darsi basato sul mutuo "conoscersi", col significato che questo verbo assume nel mondo biblico: "conoscere" fa riferimento a qualcosa di intimo e di esperienziale.

In questo senso, il darsi, cosí inteso, è quello che visse Gesú, "il quale passò beneficando" (At 10,38). Ma può anche essere considerato un nome della Divinità: Dio è il Darsi, pura Donazione, puro Amore e Cura. È questo che caratterizza la Fonte di tutto ciò che è reale.

E questo darsi è pure la nostra vocazione, poiché è la nostra identità. Non siamo l'ego narcisista, che gira intorno a sé stesso, in un movimento incentrato sull'ego e divoratore..., anche se spesso ci percepiamo cosí, per effetto della nostra ignoranza e delle nostre carenze affettive.

Non siamo quell'ego, che non è altro che un insieme di modelli mentali ed emozionali, impressi con forza nel nostro psichismo. Siamo l'Amore incondizionato, che è cura e donazione di sé.

Sempre in questa prospettiva, possiamo riconoscere Gesú come lo "specchio" di quello che siamo. Egli vive quello che è... e questo fa sí che si risvegli in noi quello che siamo, in un'Identità condivisa o non-duale.

Il testo parla di "offrire la vita" e "riprenderla". In realtà, possiamo solo riprenderla quando la offriamo. Se non la offriamo restiamo rinchiusi nel guscio narcisistico, lontani anche dalla coscienza chiara della Vita. Siamo come il bruco che si rifiuta di diventare farfalla.

Nella misura in cui ci apriamo e offriamo noi stessi, lí appare la Vita e avviene l'incontro con la nostra vera identità. Non siamo l'ego che abbiamo transitoriamente, ma la Vita che si esprime in questa forma concreta.

Il mistero di morte-risurrezione, cui accennavo all'inizio, consiste nel morire all'ego affinché possa vivere la vita che siamo veramente. O, in parole dello stesso Gesú, "chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà" (Mc 8,35).

"Perdere la vita" per Gesú vuol dire assumere il suo modo di vivere, non identificato con l'ego e fatto offerta di sé fino alla fine.

Con queste parole, il vangelo ci mette di fronte ad una vera sfida: quella di intendere il nostro vivere come un apprendimento continuo, fino a riconoscerci in chi siamo; un apprendimento che è, in termini evangelici, metanoia, conversione, passaggio dall'ego alla Coscienza che siamo.

Traducción de Teresa Albasini Legaz

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